La mostra è al Mef, Museo Ettore Fico di Torino fino al 26 giugno
Il potere della citazione è anfibio: incanta per la potenza dell’evocazione, o del soggetto che ne è protagonista , ma al contempo porta in sé il rischio del già visto e la noia dell’ampiamente risaputo. Se poi il confronto è con i vertici della cultura occidentale, nutrita come è di icone della grecità e della latinità, ecco che la sfida estetica si ammanta d’impossibile. Una sfida che Luca Pignatelli sembra voler accogliere con leggera, misurata consapevolezza.
Il suo è un combinato ben disposto di opposti: materiali poveri, lamiere giustapposte e ricucite, grandi teli – verrebbe da definirli “telieri” per la possanza e leggerezza con cui si stagliano sulle oceaniche superfici bianche di questo Museo Fico (la mostra, aperta fino al 26 giugno, e che accoglie anche i lavori di Luca Scarabello, è curata da Luca Beatrice) che li accoglie come velieri d’abisso su cui si posano dense e metalliche mitologiche polene – effigiati da un pantheon statuario fatto di Veneri, Adoni, Hermes, Lapiti, Diane con cervi al seguito, Atlanti e Centauri.
L’arte come lo «iocari serio, et studiosissime ludere» di Marsilio Ficino porta al di fuori del tempo. Ed è qui che la narrazione di Pignatelli trova la sua forza: consustanzialmente anacronistico perché libero, il suo procedere per giustapposizioni trascende ogni epoca perché tutte le contiene, supera la materialità per questo suo ludico aspirare all’infinito, all’oltre-tempo, che fa scempio meraviglioso della classicità sua sposa, evocandone luoghi e culti riatualizzati ben oltre la citazione postmoderna.